domenica 11 ottobre 2015

LE FIRME SUI MURI



I murales ed i graffiti non sono la stessa cosa: i primi sono delle scritte a sfondo politico fatte sui muri, nati nei primi anni del 1900 in sud America e Messico, i secondi invece apparvero negli USA durante gli anni '60-'70 e all'inizio erano solo firme per delimitare il territorio fra le varie bande rivali.
In seguito questi "NICK-NAME" furono utilizzati dai ragazzi per motivi personali, e così lo stile si evolse, e dalle semplici firme sui muri di New York, divennero delle scritte complete fino a diventare dei veri e propri disegni sui vagoni dei treni e delle metropolitane. Il WRITING comprende disegni legali fatti dai writers (i più "tranquilli"), ma ci sono anche i BOMBERS che riempono i muri con i TAG, cioè delle firme, etichette che rovinano i muri e anche i lavori dei writers.

Artisti, vandali, teppisti, ribelli: cosa sono davvero gli autori delle tante scritte selvagge o delle chiazze di colore più o meno informi che sempre più spesso incontriamo sui muri, sulle porte, sui vagoni ferroviari delle nostre città? Qualche anno fa a Roma si svolse una mostra(“American Graffiti”) che esponeva le opere dei graffitisti di un tempo, che oggi dipingono su tela. In effetti, risale a circa quarant’anni fa, nel pieno degli anni Sessanta, uno dei primi tentativi di sanzionare una pratica che andava diffondendosi a macchia d’olio in una grande metropoli come New York: una multa di 25 dollari per chi scriveva sui muri o sui treni della metropolitana. Nel 1989 la battaglia sembrava vinta: tutte le carrozze erano state sostituite,tantissimi erano stati gli arresti, elevatissima la spesa complessiva: 52 milioni di dollari.Nel frattempo si erano formate correnti, movimenti pro o contro, divisioni interne agli stessi“graffitisti”: da una parte i radicali (che avrebbero voluto darsi un nome significativo:“Graffiti Guerrilla”); dall’altra i moderati, gli United Graffiti Artists.Nel 1973 una galleria d’arte ufficiale di New York accoglie la prima mostra: sono i graffiti su tela, una “riduzione estetica” (come direbbe il sociologo francese Jean Baudrillard) delle istanze sovversive dei murales. Il primo graffitista diventato famoso doveva la sua celebrità ad un articolo pubblicato nel 1971 sul grande quotidiano “New York Times”: si firma, come gli altri, con uno pesudonimo, “Taki 183”, ma il reporter riesce a trasformarsi in detective e asvelarne l’identità, contenuta cripticamente nella sua firma.L’ondata di graffiti e scritte sui muri, nata nei ghetti della grande metropoli statunitense -secondo alcuni a causa della repressione delle sommosse urbane degli anni ‘60, come istanzadi riappropriazione e trasformazione del grigiore anonimo dei quartieri poveri ed emarginati -trova eco nella stampa e induce persino notorietà, possibilità di riscatto impreviste.




I graffitisti crescono, sono migliaia nella sola New York, gli amministratori sono inquieti, mobilitano le forze di polizia; si moltiplicano le sanzioni, i controlli, gli arresti, si cerca di controllare la produzione delle bombolette. Ma il flusso appare inarrestabile: alla voglia di lasciare il proprio segno alternativo nello spazio indifferenziato della scena pubblica, si accompagna il gusto del rischio, dell’avventura.






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