lunedì 22 febbraio 2016

SOPPORTARE PAZIENTEMENTE LE PERSONE MOLESTE.......



Poter sillabare anche solo qualche postilla in merito a questa sesta opera di misericordia spirituale significa, innanzitutto, perlustrare il significato del perdono biblico, premessa ed esito del poter sopportare pazientemente le persone moleste. Balza agli occhi il fatto di quanto questa cosiddetta opera di misericordia spirituale si riveli in tutta la sua sorprendente attualità. E ciò a causa di quel fenomeno per cui nella società della tecnica in cui ci troviamo completamente, per quanto forse inconsapevolmente, inabissati, può succedere che ogni persona appaia a noi «molesta». A sapere che la sua presenza risulti a noi inopportuna, fastidiosa, addirittura insopportabile, sembrando, quasi di starci, appunto, addosso come una mole, «molestandoci». Mai come oggi, avvolti nello scenario tardo moderno, per la precisione iniziato l’11 Settembre 2001, desideriamo, da una parte, ammirare il volto del fratello e della sorella che sono l’altro per me. Ma mai come oggi, d’altro canto, proprio la presenza dell’altro ci inquieta, ci molesta quasi, anche se l’altro non proferisce nulla, anche se, forse, in treno è seduto silenziosamente e garbatamente di fianco o – peggio – di fronte a me, situazione alquanto molesta che raggiunge il suo apice quando ci si dovesse trovare in ascensore non solo con uno sconosciuto, ma anche con una persona con la quale, magari, confliggiamo nell’antifrasi della relazione. Perché, appunto, può succedere che non sia l’altro ad essere un molesto per me, bensì l’ospitate inquietante dentro di me che me lo fa sentire tale.

Non è possibile, né conveniente tentare oggi un’adeguata interpretazione della sesta opera di misericordia spirituale, che ci invita e ci sprona, anzi, a sopportare pazientemente le persone moleste senza essere almeno previamente consapevoli di questo scenario esterno e interno a noi.

I peccatori, specialmente se sono persone moleste, bisogna perdonarli certo, ma anche sopportarli. Una precisazione sembra necessaria parlando di sopportazione dei molesti. Mentre nella lingua parlata il verbo sopportare ha assunto una colorazione negativa e piuttosto passiva (un “restare sotto” un peso che non si può evitare), nella sua etimologia greca porta con sé un significato attivo e positivo: è uno stare eretto di fronte a qualcuno o qualcosa con fermezza, un portare sopra di sé, tenendo fermo, resistendo con il coraggio della pazienza all’urto. E pazienza è la capacità anche di patire. E l’attitudine cioè di un forte di fronte al nemico, alle avversità, al dolore.

Normalmente, il termine "molestia" viene impiegato per indicare un "atto che reca danno o disturbo"; molto spesso però, quando si parla di molestia il pensiero corre subito alle sue manifestazioni più spiacevoli.

Ciò accade perché, in determinate situazioni, la molestia può facilmente scatenare una vera e propria aggressione, inizialmente verbale e quindi psicologica, per arrivare eventualmente a quella fisica; in tutti i casi si tratta di comportamenti che sono in netto contrasto con le comuni norme di convivenza civile e che possono anche avere esiti drammatici.



Solitamente, una situazione di molestia può degenerare in aggressione e in violenza quando raggiunge elevati livelli di ripetitività e di intensità; in simili casi, i principali fattori che favoriscono tale evoluzione sono:
le condizioni di svantaggio, di isolamento e, spesso, di impotenza in cui si trova la persona maltrattata;
la sensazione di potere che la persona malintenzionata ricava imponendo ripetutamente la propria volontà sulla persona che è fisicamente o psicologicamente più debole;
la convinzione della persona malintenzionata di poter agire indisturbata e di rimanere impunita.

Tali fattori sono comuni a situazioni molto diverse tra loro, come ad esempio:
Il mobbing, inteso come "vessazioni sul posto di lavoro", che è una forma di molestia che protraendosi nel tempo e aumentando di intensità può arrivare a costituire violenza psicologica.
Il bersaglio è tipicamente una persona che considera ingiuste le disposizioni o le osservazioni impartite dai superiori e non intende accettarle per questione di principio. Di conseguenza, i superiori formano una coalizione tra di loro e con altri lavoratori per complicare la vita aziendale alla persona "ribelle", magari arrivando anche ai sabotaggi e alle intimidazioni, al fine di portarla all'esasperazione e spingerla a dare le dimissioni.

Secondo il Codice Penale non è specificatamente un reato, ma le azioni che lo costituiscono sono riconducibili ad altri tipi di reato, come ad esempio le lesioni personali (art. 582), connesse al peggioramento delle condizioni di salute della persona maltrattata.

Lo stalking, ovvero "insistere con una persona seguendola o telefonandole continuamente", che è anch'esso una forma di molestia che può facilmente evolvere in violenza psicologica.
Può essere innescata da situazioni molto diverse tra loro, come ad esempio nei casi di forte delusione sentimentale, o di usura, oppure di regolamento di questioni in genere. Lo scopo è quello di portare la persona bersaglio all'esasperazione affinché ceda alla volontà della persona malintenzionata.

Secondo il Codice Penale rientra nel reato di "atti persecutori" (art. 612-bis).

Il bullismo, caratterizzato inizialmente da "intimidazioni e minacce", che è un'ulteriore forma di molestia che può facilmente evolvere in violenza, sia psicologica sia fisica.
In genere, il passaggio alle vie di fatto è favorito specialmente dall'immaturità dei soggetti interessati che, individualmente o in gruppo, mettono in atto comportamenti di una certa gravità senza tener conto delle possibili conseguenze, sia per loro stessi sia per la loro vittima. Per quest'ultima, lo stress a livello psicologico può essere tale da spingerla a compiere atti di estrema gravità, compromettendo irreversibilmente la propria incolumità personale.

Secondo il Codice Penale non è specificatamente un reato, ma le azioni che lo costituiscono sono riconducibili ad altri reati: percosse o lesioni (art. 581 e 582), minacce (art. 612), ingiuria o diffamazione (art. 594 e 595), furto (art. 624), danneggiamento di cose (art. 635), molestia o disturbo (art. 660), stupro (art. 609), interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis).

I maltrattamenti nell'ambiente domestico, che comprendono sia le umiliazioni, le sopraffazioni e gli abusi di vario tipo, sia la trascuratezza nei confronti di coloro che dovrebbero invece ricevere protezione ed affetto. Anche in questo scenario la molestia è inizialmente di tipo verbale per poi evolvere in forme assai più gravi di intimidazione e di sopraffazione.
Una caratteristica particolare di queste situazioni è un certo isolamento sociale dell'intero nucleo familiare: sia per la persona maltrattante, che solitamente non ha competenze sociali adeguate e che invece si adopera per nascondere al mondo esterno i modi con cui sfoga la propria rabbia in famiglia, sia per le persone che subiscono i suoi sfoghi, a causa del forte disagio che provano. Inoltre, la tendenza di queste ultime ad adattarsi ai soprusi pensando, erroneamente, che non vi sia alcun rimedio contribuisce a peggiorare ulteriormente una situazione già estremamente grave.

In quest'ambito possono rientrare numerosi tipi di reato disciplinati dal Codice Penale, tra i quali vi sono: violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570), abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571), maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572), istigazione o aiuto al suicidio (art. 580), percosse (art. 581), lesioni personali (art. 582), pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583-bis), ingiuria (art. 594), diffamazione (art. 595), sequestro di persona (art. 605), violenza sessuale (art. 609-bis), violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies), violenza privata (art. 610), minaccia (art. 612), atti persecutori (art. 612-bis), violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616), cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617), molestia o disturbo alle persone (art. 660).

Tutte le situazioni sopra descritte mostrano chiaramente un filo conduttore comune: l'intenzione di nuocere ad altri, che è indicativa di certe caratteristiche personali e che può manifestarsi in differenti modalità e con vari gradi di pericolosità, fino alle forme più estreme di violenza.

Il concetto di violenza è assai ampio e comprende le più svariate forme di abuso psicologico, fisico, sessuale e i relativi comportamenti coercitivi messi in atto per dominare una o più persone; generalmente è definibile come "costringere fisicamente o moralmente una o più persone ad agire contro la propria volontà".

Per chi subisce violenza, essa può comportare gravi conseguenze non solo a livello fisico ma anche a livello psicologico; ad esempio, può causare ansia, depressione, irritabilità, irregolarità del battito cardiaco, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, sintomi somatici, ipervigilanza, sensi di colpa e vergogna, abbassamento del livello di autostima, e in certi casi anche specifici sintomi causati dall'evento traumatico che possono ulteriormente aggravarsi se la situazione violenta si protrae nel tempo.

Per chi mette in atto comportamenti violenti, le conseguenze peseranno principalmente sul piano penale e di conseguenza anche a livello sociale; va precisato che la persona malintenzionata potrebbe anche rimanere impunita, ma solo fino a quando la persona maltrattata deciderà di rivolgersi a qualcuno per chiedere aiuto, ed è caldamente raccomandabile che tale decisione venga presa al più presto possibile, eventualmente anche dopo che certi fatti si sono verificati, per evitare che si ripetano nuovamente.

Generalmente, coloro che adottano comportamenti molesti, aggressivi o violenti sono persone che presentano varie forme e vari livelli di disagio psicologico: scarsa coscienza sociale, forte demoralizzazione, facile irritabilità, eccessiva impulsività, e quindi scarso autocontrollo; inoltre, hanno bassi livelli di autostima, temono di essere rifiutate o abbandonate dagli altri, e mettono in atto i comportamenti molesti, aggressivi o violenti quando si sentono minacciate o svalutate.

Contrariamente a quanto è più facile pensare, questi malintenzionati non sono esclusivamente persone di sesso maschile ma anche di sesso femminile; inoltre, non si tratta solo di persone adulte ma anche di adolescenti o preadolescenti; nei casi più gravi si tratta di persone che presentano anche un Disturbo di Personalità.

Considerando un continuum che va dalla molestia alla violenza, in genere certi illeciti vengono commessi da individui che hanno una personalità tendenzialmente sprezzante delle regole, estroversa, impulsiva e instabile, e che eventualmente fanno uso di sostanze stupefacenti.

Quindi, si tratta di persone che vogliono apparire forti ma che in realtà presentano molti punti di debolezza nel loro carattere, e in certi casi hanno bisogno di cure per evitare che nuociano ulteriormente a se stesse e agli altri.



Al di là delle considerazioni e di eventuali iniziative di carattere giudiziario, va precisato che dal punto di vista psicologico gli interventi appropriati per i profili sopra descritti sono di vari tipi e la loro parziale o totale efficacia dipende dal livello di gravità del caso specifico.

Infatti, mentre le singole forme di disagio possono venire ridimensionate e magari risolte tramite apposito intervento, è difficile poter dire altrettanto per i Disturbi di Personalità e per i Disturbi del Comportamento Sessuale.

La difficoltà è dovuta al fatto che, tra le persone portatrici di tali disturbi, molte considerano questi ultimi in qualche modo accettabili, ovvero desiderano stare meglio ma non desiderano cambiare totalmente il proprio modo di essere; per tale ragione la terapia può risultare lunga, impegnativa e di limitata efficacia.

Altre di queste persone invece desidererebbero essere aiutate a cambiare, ma si astengono dal richiedere l'aiuto necessario per evitare le critiche altrui e, in casi particolari, la comunicazione all'Autorità Giudiziaria; di conseguenza, in questi casi che sono i più difficili e anche i più pericolosi per l'incolumità propria e altrui5, la terapia non può neanche venire iniziata.

Quando si parla di violenza, spesso tendiamo immediatamente a pensare a percosse e ad aggressioni fisiche. La violenza, in realtà, può avere molte altre forme e può essere agita a diversi livelli: possiamo infatti fare riferimento a violenza economica, culturale, psicologica, ecc.
Tutti questi tipi di violenza sono tra loro collegati, ma non necessariamente coesistono.
In particolare, non esiste violenza fisica che non sia stata preceduta da forme di violenza psicologica. Quest’ultima spesso viene sottovalutata, in quanto difficilmente identificabile, talvolta per le vittime stesse, che non la riconoscono come “violenza”. È invece fondamentale riconoscerne la portata, non solo in quanto precursore di altri tipi di violenza tra cui quella fisica, ma anche perché di per sé causa di sofferenza e disagio in chi la subisce.
Con il termine “violenza psicologica” ci riferiamo ad una serie di atteggiamenti e discorsi volti direttamente a denigrare l’altra persona e il suo modo di essere. Rientrano in questa definizione tutte quelle parole e quei gesti che hanno lo scopo di rendere l’altro insicuro, così da poterlo controllare e sottomettere.

La violenza psicologica si articola intorno a particolari comportamenti e/o atteggiamenti che si ripetono e si rafforzano nel tempo; una serie di microviolenze che generalmente seguono il seguente schema: tutto inizia con il controllo sistematico dell’altro, si passa poi alla gelosia e alle molestie assillanti, fino ad arrivare alle umiliazioni ed al disprezzo.

Il controllo può tradursi in un comportamento eccessivamente geloso, quasi patologico, caratterizzato da sospetti continui ed infondati. Il partner diventa un oggetto da possedere in maniera esclusiva, non viene riconosciuto in quanto persona “altra da sé”.
Spesso, nell’ambito della violenza domestica, il controllo sulla donna è mantenuto grazie anche al suo progressivo isolamento: le viene impedito di lavorare (o di accedere alle finanze personali/comuni) e di avere una vita sociale, di vedere gli amici, di mantenere rapporti con quest’ultimi e con la famiglia, allo scopo di renderla completamente dipendente dal compagno, così che non sfugga al suo controllo.
L’isolamento è al contempo causa e conseguenza dei maltrattamenti; in queste situazioni le donne dicono spesso di sentirsi prigioniere.

Una strategia alla base della violenza psicologica è costituita dalle critiche avvilenti volte a minare l’autostima della persona, a mostrarle che è priva di valore; per esempio la persona può essere denigrata per quello che fa, può essere accusata di pazzia, criticata rispetto al suo aspetto fisico o alle sue capacità intellettuali. Umiliare, svilire, ridicolizzare, costituiscono atti peculiari della violenza psicologica. Talvolta, quando le critiche e le umiliazioni sono a contenuto sessuale, queste generano un senso di vergogna che diventa un ulteriore ostacolo al cercare un aiuto esterno.

La violenza psicologica può includere anche minacce o atti intimidatori quali lo sbattere le porte, lanciare o rompere gli oggetti, maltrattare animali domestici, ecc. Queste non vanno considerate forme di violenza repressa, bensì azioni di violenza indiretta. Tali comportamenti vogliono intimorire l’altro, minacciarlo della propria forza e capacità di fare del male (agli altri e a se stessi). La minaccia di suicidio costituisce una violenza di estrema gravità perché porta il partner a sentirsi responsabile delle azioni dell’altro e a dover restare immobile per il timore delle conseguenze di qualsiasi sua scelta.
Se alcuni di questi comportamenti, presi singolarmente, possono rientrare nel quadro di un acceso litigio di coppia, è il carattere ripetitivo e il protrarsi nel tempo di queste situazioni a configurarli come una forma di violenza psicologica. La violenza, inoltre, si differenzia dalla conflittualità per l’asimmetria dello schema relazionale.
La sistematica denigrazione ed i continui insulti alla persona, maschio o femmina che sia, minano la sua autostima, e più in generale al suo senso di identità. Sentendosi continuamente disprezzata, essa stessa comincerà a disprezzarsi ed a sentirsi non degna di essere amata e rispettata. La ripetitività e il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo distruttivo, a livello psicologico, per la persona che subisce, che addirittura può condurre al suicidio.
Tuttavia, mentre gli effetti della violenza fisica sono immediatamente visibili e facilmente diagnosticabili, è molto più difficile valutare quelli provocati da una violenza di tipo psicologico.
Esiste inoltre una certa difficoltà ad individuare le violenze psicologiche stesse, dal momento che i loro confini non sono così definiti: una medesima azione può assumere significati diversi a seconda del contesto in cui si inserisce ed a seconda della persona che la valuta.
La violenza psicologica spesso viene negata sia dall’aggressore che dai testimoni; non ci sono dati oggettivi che provano la realtà di ciò che la vittima subisce e questo fa sì che essa stessa dubiti di ciò che prova.
Tutto questo rende necessario iniziative di sensibilizzazione e formazione rispetto a questo tema così importante e sottovalutato, sia in un’ottica di intervento, che preventiva, allo scopo di ridurre il rischio di diventare vittime (o carnefici) all’interno di questi pericolosi meccanismi psicologici.
Infine è importante sottolineare che la problematica della violenza, in tutte le sue forme, non può essere confinata ad una dimensione individuale o di coppia, ma necessita di essere rinviata ad un sistema più ampio, quello delle relazioni sociali; l’obiettivo deve essere quello di un cambiamento a livello sociale e culturale, che favorisca un’evoluzione delle relazioni di genere, fondate sul riconoscimento della persona e sul rispetto dell’alterità.



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